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Concorso d'eleganza per le storiche Lambo

...Se è un sogno non svegliatemi!

02 ottobre 2017

55 stupende Lamborghini sono schierate sul placido lungolago di una celebre e prestigiosa località svizzera. Sono tutte perfettamente funzionanti con i loro motoroni rochi e ben carburati, pronte a partire per un bel giro sulle “curvose” strade del Jura, dove centinaia di migliaia di cavalli tutti insieme verranno scaricati sull’asfalto e sveglieranno povere mucche ancora sopite sugli alpeggi. Ce ne sono perfino 4 bell’e pronte per noi giornalisti, delle quali 3 provenienti “nientepopòdimenoche” dal Museo Lamborghini di Sant’Agata Bolognese, terra natia dell’azienda di Sor Ferruccio. Stiamo sognando, starete pensando voi… invece è tutto vero! Perché ci troviamo al primissimo Concorso di Eleganza per automobili Lamborghini organizzato dal neonato Polo Storico del Marchio del Toro a Neuchâtel, dal 15 al 17 settembre. Un’iniziativa che definire una figata è davvero poco. Anche perché qua ci è venuta una paresi alla mandibola a furia di fare “wow!”… prima di tutto per quelle 50 signorine di cui vi parlavamo sopra che già basterebbe. Ma poi perché quei geniacci emiliani che formano questa grande e calorosissima famiglia chiamata Lamborghini, hanno pensato proprio a tutto: ci hanno portato qui, in questo incantato angolo di Svizzera, perché trovavano banalotto fare un concorso di eleganza per auto fine a sé stesso (come se le Lambo fossero macchinette qualsiasi…) meglio giustificarlo inventandosi un omaggio a un grande architetto, uno dei massimi esponenti del design contemporaneo, l’inventore della modernità in pratica, Le Corbusier. L’architetto infatti, qui nel cantone di Neuchâtel, più precisamente nella cittadina di La Chaux-De-Fonds, tappa del nostro tour di sabato, oggi capitale dell’orologeria più pregiata al mondo, ci è nato, ha imparato l’arte e… non l’ha messa da parte, considerato che ci sono almeno 4 edifici in paese che portano la sua firma. Noi ne visitiamo due. La Maison Blanche, realizzata per gli anziani genitori nel 1912, progetto molto giovanile (si riconosce dall’arredamento interno legato ancora alla tradizione fine ottocento) ma dove intercettiamo già tutto il suo eclettismo: tinte bianche, pavimento in linoleum, vetrate al posto delle pareti, piastrelle a quadrettoni grigio/azzurro, omaggio al mare della Costa Azzurra tanto amata dalla sua famiglia; e la Ville Turque del 1916-17, costruita per un orologiaio della zona, dove razionalità, estro, stile modernissimo e funzionalità trovano la loro massima espressione: tratti orientaleggianti in una struttura di mattoni al vivo incontrano doppi vetri per l’isolamento termico (fantascienza all’epoca) e un sistema di riscaldamento a pavimento.

Vi parlavamo prima dei gioiellini che abbiamo guidato (e anche un po’ maltrattato) durante tutta la giornata… noi italiani iniziamo subito col botto, considerato che ci sediamo al volante dell’LM002. Il nome non vi dice niente? Strano… perché non è stato e non è proprio un mezzuccio sobrio. Qualcuno lo definisce il primo SUV (con tutte le implicazioni, anche “culturali”, del termine), sicuramente è una delle vetture più irriverenti, politicamente scorrette, vistose, sprecone e pesanti siano mai esistite: carrozzeria a metà fra un mezzo militare (non a caso i primi progetti erano nati da un bizzarro accordo con lo US Army) e un pick-up, interni da berlina di lusso con ogni confort, telaio da fuoristrada duro e puro – trazione integrale inseribile con due differenziali bloccabili – e motore da dreamcar, anzi, proprio quello di una dreamcar, una certa Countach, che aveva sotto il cofano un V12 da 5167 cm³ in grado di sprigionare 455 CV… peccato che la mole da 2,5 tonnellate permette prestazioni da 4 cilindri appena un po’ pompata e consumi da incrociatore (5 km al litro a 50 km/h). Certo, la coppia c’è e si sente e non si possa certo dire che sia una macchina “che non va”. I suoi acquirenti all’epoca erano sceicchi e re africani od orientali oppure americani ed europei che amavano farsi notare: la cattiva reputazione che si fece rischiò di compromettere tutta l’immagine di Lambo e così, nel 1993, fu consegnato alla leggenda.

Scesi dal bestione saliamo sulla bella di Casa, il mito, la Miura S color oro del Museo. Trovarsi al volante di questo capolavoro semovente è un’emozione difficile da descrivere a parole: si è seduti per terra ma il sedile sportivo non è così scomodo, i comandi sono tutti a portata di mano e tutti quegli indicatori ci suggeriscono che qui si fa sul serio, molto sul serio. In realtà, finché non le si chiede di cavalcare come una puledra di razza, Miss Miura è cordiale, per nulla scorbutica, perfino intuitiva e intima di guidare, come una bella donna dalla quale non ti saresti mai aspettato tanta confidenza. E quando la si lascia andare quel V12 piazzato dietro le nostre teste, in trasversale (pornografia automobilistica pura), ci fa intendere subito quello che è in grado di fare e quindi è meglio non esagerare e lei continua ad assecondarti, senza sorprese, ti fa condurre il gioco nonostante abbia 45 anni e ne sappia molto più di te. Quella che invece ha tutta la grinta della trentenne (è l’ultima costruita, del 1988) smaliziata e scafata è la insospettabile Jalpa. Piccola e dall’aspetto più umano rispetto alle sue sorellone, al volante diventa un bisturi di precisione, uno strumento affilato e incisivo, una virago determinata e molto cattiva, col suo V8 da 255 CV (uno dei più piccoli motori montati fino a quel momento su una Lambo… alla faccia!) sempre pronto, il cambio impeccabile, la linea dal Cx perfetto: una Silhouette (modello che va a sostituire) riveduta e corretta dal mitico ing. Stanzani per fare le scarpe alle 911 dell’epoca: secondo noi li hanno fatto pure gli scarponi! Finiamo in gran bellezza, rilassandoci al volante di una delle auto più stupefacenti, veloci, potenti ma anche piacevoli, confortevoli (sì, confortevoli!) e prestigiose abbia mai guidato chi scrive: la Huracàn LP 610-4. Superato lo shock di non riuscire a staccare gli occhi di dosso da quella linea incredibilmente bella, compatta, con tutto messo lì dove un automobilista ha sempre sognato, alla guida è di nuovo un’emozione globale, a 360°: il volante di piccole dimensioni è sincero, il cambio robotizzato con tanto di palette (molto ampie, ben azionabili anche in curva) a 7 marce reattivo, gli impianti di condizionamento e audio da ammiraglia, le finiture in pelle e materiale leggero composito la più raffinata espressione del made in italy… tutte caratteristiche che possiamo notare guidando la Huracàn nel traffico, dove è leggera, intuitiva e maneggevole come una Panda, una vera goduria che vien voglia di usarla tutti i giorni. Ma è pur sempre una Lambo… e che Lambo! Quando “diamo gas” il V10 dietro di noi ruggisce sornione e ci proietta in un’altra dimensione (attaccata a terra come un treno sui binari, grazie alla trazione integrale permanente), dove tutto ciò che ti sta accanto sembra scomparire, svanire, rimanere statico in un mondo parallelo: l’avete mai vista voi una macchina che in settima riprende come se non aveste mai lasciato l’acceleratore?. E’ come rendersi conto di non aver mai guidato altro. E scendere dalla Huracàn è come tornare dalle vacanze più belle della nostra vita, quelle che sappiamo già che non ci ricapiteranno mai più.

Domenica stiamo con i piedi ben saldi per terra, perché la manifestazione entra nel vivo. I partecipanti provenienti da tutta Europa infatti, fin di buon mattino, hanno esposto le loro splendide vetture sulla rada del porticciolo turistico di Neuchâtel, dove possono essere ammirate da tutta la popolazione (cosa rara in questo tipo di eventi, di solito dedicato agli addetti al settore che, ahinoi, “se la cantano e se la suonano” da soli) oltre che dalla competente giuria (composta tra gli altri dal direttore del MauTo di Torino Rodolfo Gaffino Rossi, dal collezionista Corrado Lo Presto e dal giornalista Massimo Del Bò). Nel primo pomeriggio l’ardua sentenza: la Best of Show, la più bella, è la Miura SV del giapponese Eizo Tomita mentre la Best of The Best, il “meglio del meglio”, perfetta commistione di rarità, bellezza e tecnica, è la Marzal dello svizzero Albert Spiess: esemplare unico, è un prototipo futurista realizzato da Nuccio Bertone (su base Miura, anch’essa del suo “pupillo” Marcello Gandini) che anticipa le future linee sia dell’atelier torinese che della Casa di Sant’Agata. Ed è proprio sui suoi scintillanti sedili argentati – che chicceria – che si conclude il nostro weekend, uno di quelli che ti fa dire “quanto sono fortunato a fare questo lavoro”.

 

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